La poesia racconta la vita e, come la musica, coglie i risvolti più profondi che sfuggono alle parole comuni. Respiri dell’anima, emozioni, passioni, turbamenti sono narrati dai poeti con parole lievi come la brezza, talora taglienti come la bufera o scolpite come la pietra. Il vino evoca orizzonti interiori, dà colore alla vita, può diventare poesia. E in ogni epoca i poeti hanno parlato del vino per raccontare la vita. Dai piaceri legati al vino degli eroi greci raccontati da Omero ai sogni dei cenciaioli parigini descritti da Beaudelaire, passando per Catullo, Orazio e Lorenzo de’ Medici ...
Come la poesia, il vino è generazione selvaggia e intervento umano, tradizione e creatività, tecnica e passione. Il vino è metafora della vita, con la comune radice vita-vite.
Legate al vino sono testi antichissimi e odierne narrazioni, passando per secoli e secoli di poesia con le più diverse ispirazioni. Innumerevoli testi dei lirici greci come dei grandi autori latini hanno raccontato in versi passioni, emozioni, inquietudini e coinvolgimenti. Anche l’austero Medioevo ha cantato il vino e l’esaltazione collettiva è rimasta scolpita nei Carmina Burana, particolarmente in Quando siano in osteria (In taberna quando sumus). Da Lorenzo il Magnifico a Francesco Redi, da Goldoni ad Alfieri, a Parini segnano la poesia fino alle soglie della contemporaneità. L’Ottocento propone i versi di Beaudelaire e di Emily Dickinson, di Pascoli e di Carducci, degli Scapigliati e dei Decadenti e mille altre voci di poeti. Un canto polifonico che prosegue nel Novecento fino ai nostri giorni, fino al Vento triste di Cesare Pavese e agli anfratti bui delle osterie dormienti di Alda Merini.
Voci senza frontiere hanno cantato il vino e quello che ha rappresentato per l’umanità, in ogni età. Il cinese Li-Po (secolo VII) come il persiano Shahid (secolo X) e l’iracheno Al-Maghribi (XII secolo) e, per pensare ai più vicini a noi, Rilke e Machado, Yeats e Hikmet, Borges e Neruda hanno dedicato versi al vino, continuando una storia che non è certo giunta all’ultima pagina. (Carlo Enrico Pozzoli)
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